Dopo tanti mesi passati chiusi in casa con i bambini, o incastrati sul trenino elettrico al parchetto, o rovinandosi le ginocchia per inseguire Giosuè nel mega grattacielo colorato fatto di scivoli e palline inghiotti bimbo, finalmente mi sono decisa, ora che non c’è Giamma e che sono da sola a smazzarmeli, me lo merito, vado a teatro!
Fa niente se vado ad assistere ad una pomeridiana, fa niente che ci andrò in bicicletta, fa niente se con me sulla bici, aggrappati come due marsupiali, ci saranno anche i bambini; fa niente, l’importante, è riprendermi la mia vita!
Ci sarebbe da aggiungere un “fa niente”, mi vergogno quasi a dirlo…vabbeh, ve lo confesso: fa niente se lo spettacolo che andremo a vedere sarà un saggio di fine anno dell’amichetta di Giosuè, e non un testo sperimentale che, normalmente, comprendo dopo due giorni e con l’aiuto della mia analista. Forse è meglio così, meglio rientrare in punta di piedi come spettatrice, con qualcosa di delicato, anzi, ora che ci penso non c’è niente di più commovente di uno recita con trenta bambini, ma non per la loro pura bellezza o per la tenera goffaggine che portano in scena, no, quello che mi fa veramente piangere, dal ridere, sono i loro genitori che guardano l’intero spettacolo attraverso il monitor del cellulare. E che bello poi vedergli muovere le teste come dei
lemuri stressati pur di non perdere neanche un secondo della performance del loro piccolo. Questo è il vero spettacolo, non quello in cartellone, che se non sbaglio è la versione semplificata dell’Odissea, sono i genitori!
Giosuè e Olivia sono vestiti di tutto punto, è la loro prima volta a teatro, e Giò, me l’ha proprio chiesto di essere elegante, ha voluto essere persino pettinato. Fa niente se poi ha insistito per mettere le scarpe di Spider man, ma lo capisco, non si può celare in maniera assoluta la propria identità in un evento così mondano. Olivia, invece, è un irresistibile confettino morbido con una splendida gonnellina in tulle che il fratello continua a sollevare per infilarci la testa; hai capito i sensi del ragno?
Prima di entrare però, devo fargli fare merenda, meglio non rimandare, altrimenti sarebbero capaci di rovistare nelle borsette delle altre mamme. Girato l’angolo c’è una bella gelateria, una coppetta mini e un cono con la panna montata riempiono la faccia di Giosuè e Olivia, non si sa come, i vestiti ne escono illesi.
Arriviamo a teatro giusto in tempo per salutare Rossella, la mamma dell’amica di Giosuè. Ci sediamo vicino a lei, in
seconda fila.
“Ma come? Te l’avevo detto che volevo stare dietro! O quanto meno in mezzo, adesso cosa guardo io, veramente lo spettacolo?” Le dico nervosa.
Lei ride ma non faccio in tempo a intravedere i 40 denti sbiancati che si è regalata per il compleanno, lo spettacolo inizia e si abbassano le luci.
Tuoni e fulmini fanno sobbalzare l’intera platea, inutile girarci intorno, Ulisse è già in viaggio. La barca dalla quale spuntano una decina di bambini è fatta di cartone, il mare di lenzuola di cotone, e non si sa perché, il vento è raffigurato con delle foglie secche che attraversano il palco; o la nave sta costeggiando il lungo mare di Como, o non si capisce la scelta del regista. La recita prosegue tra risate e centinaia di selfie, i genitori passano più tempo a dare le spalle ai propri figli pur di fotografarsi con loro in scena. I chilometrici buchi di memoria dei bambini facilitano la messa a fuoco delle fotocamere, le pause nel testo si susseguono incessantemente, sembra che i bambini si siano messi d'accordo per far durare lo spettacolo 5 giorni, una vera e propria Odissea insomma. Ad un certo punto, irrompe un bambino un pò più alto degli altri, ma di poco, praticamente ha solo i capelli gonfi ricci. Una benda color carne gli copre interamente gli occhi e sulla fronte troneggia quello mostruosamente dipinto da ciclope.
“Mamma! Paura” Urla Giosuè facendo ridere i papà e intonare un dolcissimo ”Oooh che carino” da tutte le mamme attorno a lui.
“Chi ha parlato?” Chiede il gigante.
“Nessuno” Recita il bambino che interpreta Ulisse.
“No nessuno, sono Giosuè io!” Grida nostro figlio.
“Shhh!” Dalla quinta la maestra lancia nel buio della platea un’ammonimento con la speranza che arrivi al piccolo disturbatore.
Olivia inizia a piangere, subito cerco di ammutolirla con una tetta, funziona. Fanno il loro ingresso sul palco 5 bambini vestiti da pecora, il gigante viene accecato da un bambino che indossa il costume da Superpigiamino, e lì, proprio in quel momento, perdo di vista Giosuè; il sue eroe è lì sul palco, a pochi metri da lui, non si sa perché, ma hanno veramente scelto di modernizzare la versione ufficiale del testo inserendo un icona dei giorni nostri per far divertire
tutti i bambini presenti. Scusate un attimo, non voglio sembrare scortese, ma se tutti i bambini sono sul palco a recitare, quale bambino sta godendo della tua trovata da oratorio…noi genitori? Come se non ne avessimo già abbastanza di vedere sto moccioso blu che da un anno occupa la nostra televisione come un Punkabbestia in tutina da Spinning.
Giosuè esce da sotto le panche e sale sul palco, sfida il suo mito sparandogli delle ragnatele invisibili, il bambino che interpreta Gattoboy si blocca, non sa più cosa fare; guarda la maestra in quinta mentre si gratta il sedere. Le pecore si alzano in piedi per osservare la scena, alcune di loro iniziano a perdere dei pezzi, chi le orecchie, chi il mantello di batuffoli di cotone, il ciclope ricciolino, non si accorge di niente, inciampa in un cavo e va a sbattere contro una roccia di carta pesta rotolando giù dal palco. Tutti i genitori si alzano per riprendere col cellulare la scena. Questo, più o meno, è stato l’epilogo dello spettacolo che sono andata a vedere all’oscuro di Giamma.
Mi sarebbe piaciuto vantarmene per farlo rosicare, ma visto com’è andata, non ci riesco proprio.
Comunque Giosuè è tornato a casa felice. Ha rubato la coda di Gattoboy e se l’ha indossata, ora in casa ho un bambino ragno che mentre mi attacca fa le fusa, così, per confondermi un pò.